Se la chiesa di San Bevignate dal punto di vista architettonico ripropone e sviluppa in forme monumentali il tema ricorrente dell'aula unica rettangolare contraffortata all'esterno, dal punto di vista della decorazione pittorica costituisce un significativo punto di arrivo nella pittura di committenza templare.
L'abside
Realizzati in massima parte tra il 1260 e il 1270, in concomitanza o comunque in stretta sequenza con la conclusione della fabbrica, gli affreschi della zona absidale, oltre a sviluppare soggetti relativi all'iconografia e alla simbologia dell'Ordine del Tempio, accolgono importanti riferimenti al movimento penitenziale dei Disciplinati e alla tradizione agiografica perugina, come nel caso della vicenda del misterioso san Bevignate.
Quanto alla tecnica utilizzata, quella che si evidenzia è una pittura rapida, corsiva, i cui contorni sono tracciati per lo più con la terra rossa o con il nero, talvolta mescolato al bianco, fatta di ampie campiture di colori piatti in cui l'ocra gialla e rossa e l'azzurrite dominano sull'intonaco chiaro. E sembra proprio che per velocizzare l'intervento più pittori appartenenti alla stessa bottega siano stati contemporaneamente impiegati in diverse zone del grande vano, avvalendosi probabilmente dei palchi del cantiere ancora in opera. Di qui l'ipotesi, in merito agli affreschi del coro, che il pittore della parete sinistra - in cui si distinguono soltanto ciò che resta dell'Ultima Cena, la Maddalena penitente e i protomartiri Stefano e Lorenzo - non sia lo stesso che, sulla parete opposta, realizza "con scioltezza di segno e vivacità interpretativa" (P. Scarpellini) il Giudizio Universale. Si noti che al centro di questa scena troneggia la monumentale figura del Cristo dalle braccia aperte, circondato dai simboli della Passione, verso cui convergono gli apostoli e gli angeli tubicini. I due registri sottostanti raffigurano invece, nell'ordine, le anime dei risorti - distinti in beati e dannati, come lasciano intendere i piedi neri di un diavolo ancora ben leggibili nella parte più lacunosa della scena - e il momento della risurrezione dei corpi, che, nudi quelli di sinistra, vestiti quelli di destra, "si sporgono dalle tombe nel faticoso ritorno alla vita" (C. Frugoni).
La decorazione della parete centrale, da leggere in chiave ascensionale, sarebbe invece costituita da una "sequenza di allegorie cristologiche" (G. Curzi), ragione per cui dalla croce strumento della Passione (evocata dalla lacunosa Crocifissione nel registro inferiore) si passa al Cristo-luce (associato alla bifora) per culminare nella "assimilazione di Cristo come vera stella" all'interno della lunetta soprastante, dove una grande croce greca, affiancata da due croci cosmologiche, è circondata da nove stelle di varie dimensioni e fogge, concordemente ritenute una allusione al numero dei fondatori dell'Ordine. In questo modo, l'impianto decorativo risulta organizzato intorno alla bifora centrale, ai cui lati si segnalano i quattro animali simbolici raffiguranti gli evangelisti (Tetramorfo), espediente di antica tradizione da cui risulta evidente "la connotazione simbolica della luce che penetra dalla finestra aperta da Oriente" (G. Curzi).
La devozione dei Templari nei confronti della Vergine, eletta fin dalle origini a loro protettrice, trova invece riscontro in alto a sinistra nella scena della Madonna in trono con il bambino, posta fra l'arcangelo Gabriele, identificato dalla scritta, e l'arcangelo Michele, che agitano i turiboli pieni di incenso.
Spostando l'attenzione sulla parte inferiore destra e sinistra (dove però l'apertura di una porta ha determinato la perdita di buona parte dell'affresco), si segnalano invece due episodi della vita di ‘san' Bevignate, l'eremita che avrebbe scelto di vivere in quella zona del contado di porta Sole in suo reclusorio, come recita l'iscrizione, solo parzialmente leggibile, contenuta nel cartiglio. Degno di nota è il fatto che la scena in cui quest'ultimo è raffigurato mentre riceve la benedizione dal vescovo "confina" ad angolo con la processione dei Disciplinati che decora il registro inferiore della parete dominata dal Giudizio Universale e la vicinanza dei due soggetti trova un riscontro diretto nella Lezenda de Fra Raniero Faxano, famoso e studiatissimo testo agiografico degli inizi del Trecento che tramanda gli esordi della generalis devotio perugina. A riprova di come le figure di Bevignate e di Raniero Fasani furono indissolubilmente unite nell'esperienza della disciplina. Sarebbe stato infatti proprio Bevignate a spingere il Fasani a condividere pubblicamente le sue pratiche penitenziali, condotte in un primo momento in forma privata, e a convincerlo a consegnare al vescovo perugino la lettera miracolosa che aveva ricevuto qualche tempo prima in occasione dell'apparizione della Vergine piangente:
«E dico a te che, a causa di innumerevoli e turpi peccati dei sodomiti, degli usurai, degli eretici, cioè a motivo dell'incredulità dei patarini, dei gazari e dei poveri di Lione, e di molti altri, Dio voleva distruggere questo mondo. Ma, per le preghiere della Vergine, il Signore Gesù Cristo si è placato e concede ai cristiani il tempo di fare penitenza e vuole che la disciplina, che tu a lungo occultamente hai praticato, pubblicamente si faccia dai popoli. Per cui domani andrai dal vescovo di Perugia ed a lui presenterai la lettera affinché ciò che in essa è contenuto pubblicamente riveli al popolo».
Straordinaria testimonianza iconografica del moto penitenziale perugino del 1260, la scena che completa la decorazione della parete destra dell'abside raffigura fedelmente una processione, purtroppo lacunosa nella parte centrale, nella quale compaiono cinque uomini nudi dalla cintola in su che incedono salmodiando mentre si infliggono la disciplina con un flagello a tre corde e si battono il petto con la mano. Nel capofila del gruppo, che si caratterizza per la barbetta corta e biforcuta e per la cintola alta alla vita, Pietro Scarpellini ha voluto vedere rappresentato lo stesso Raniero Fasani.
Allo stesso Scarpellini si deve inoltre l'ipotesi secondo cui degli apparati mobili di pertinenza della zona absidale doveva far parte anche il Trittico Marzolini, oggi conservato nella Galleria Nazionale dell'Umbria, verosimilmente collocato sopra il grande altare ricoperto da una lastra unica in pietra rosa del Subasio, materiale utilizzato, tra l'altro, anche per i filari a doppio colore del pavimento, visibili nella zona absidale.
L'arco trionfale
Quanto alla decorazione a finti conci tipica delle cappelle di committenza templare (Resson, Cressac, Coulommier), in questo caso risulta attenuata, tanto nelle pareti della navata quanto nell'arco trionfale, dall'inserimento su vaste superfici di motivi geometrici o fitomorfi "di controversa esegesi" (C. Frugoni) oltre che da interventi decorativi successivi. Quello che si ha di fronte sull'arco che precede l'abside è infatti un repertorio straordinariamente vario ottenuto dalla diversa combinazione di elementi simbolici scanditi da riquadri e cornici contenenti motivi ornamentali quali losanghe, fiori di vario genere, fiordalisi e animali più o meno concordemente identificati, che, ripetendosi su molti degli spazi disponibili, danno luogo a un insieme di difficile decodificazione. Come pure, in una simile profusione di segni e figure, nella quale risulta arduo "rintracciare un programma coerente", alle difficoltà collegate alla perdita di estesi brani pittorici e alla compromessa leggibilità di molte zone si aggiunge "la cautela imposta dalla ridipintura ottocentesca, rimossa in modo evidentemente non omogeneo" (G. Curzi).
La controfacciata
A questo eterogeneo repertorio iconografico si aggiunge la presenza di elementi figurativi di più immediata lettura, volti a rappresentare in modo chiaro e diretto le esigenze apologetiche dell'Ordine. Malgrado infatti le lacune degli affreschi della controfacciata, è comunque possibile individuare i temi salienti di un articolato ed esteso intervento decorativo, tutto incentrato sulla crociata e sulla esaltazione della missione dei cavalieri templari in Outremer.
L'impaginazione del primo livello, caratterizzato da gruppi di armati che si affrontano in uno strenuo combattimento, appare rinforzata dal fondo chiaro su cui le sagome dei cavalli, montate da cavalieri armati di tutto punto, "risultano come sospese". Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella scena la battaglia di Nablus del 1248, ma è altrettanto ragionevole supporre che, al di là della celebrazione di un episodio memorabile, il programma decorativo mirasse nel suo insieme a proporre in chiave esplicitamente celebrativa la missione in Terrasanta dell'Ordine del Tempio, il cui vessillo bipartito (il cosiddetto gonfanon baussant), protetto da uno scudiero barbuto, campeggia, non a caso, al centro della scena.
Di grande interesse è anche il soggetto del secondo livello dell'affresco, funzionale a prima vista a una lettura allegorica di tipo tradizionale, ma che può avvalersi di un'ulteriore proposta di decodificazione grazie agli apporti della storia locale. Se è vero infatti che, stando al capitolo 45 della Regola dell'Ordine del Tempio, il leone era l'unico animale che potesse essere ucciso in Terrasanta e che la lotta contro di esso adombrerebbe la metafora della lotta contro il male, non va certo trascurato il fatto che nel 1237 - allorché Gregorio IX istituiva ex novo nel territorio perugino una nuova domus templare scelse di intitolarla a san Giustino e san Girolamo. E proprio all'episodio narrato da Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea, secondo cui Girolamo avrebbe ammansito nei pressi di Betlemme un leone togliendogli una spina dalla zampa, pare alludere la scena in controfacciata, nella quale uno dei quattro templari che si affacciano da un edificio fortificato tocca la zampa del leone, divenuto tramite della memoria dell'intitolazione originaria del luogo. Degno di nota è inoltre il fatto che quello qui proposto è un soggetto iconografico del tutto inedito: in questa scena, infatti, i Templari non sono raffigurati come milites o, per meglio dire, in abiti da bellatores, ma come oratores che, pur rimanendo sempre e comunque a presidio delle fortezze loro affidate, nei periodi di tregua dismettono armi e armature e si vestono a tutti gli effetti come dei religiosi.
Completa la narrazione della gesta dell'Ordine la scena assai lacunosa raffigurata nel terzo e ultimo registro, nella quale un veliero gremito di persone che solca un mare tempestoso popolato di enormi pesci allude ai pericoli che la militia Templi, impegnata in prima linea tanto nella difesa della Terrasanta quanto nel trasporto dei pellegrini, era chiamata quotidianamente ad affrontare.
A un intervento decorativo di poco successivo (1283) va invece ricondotta la serie di undici monumentali figure di Apostoli, quasi sospese a imitazione di tappezzerie nel reticolo a finti conci delle pareti della navata - eccezion fatta per l'undicesima e la dodicesima (andata perduta) parzialmente sovrapposte al Tetramorfo nella parete centrale absidale - che recano in mano vistosi dischi crucesignati. Tale elemento iconografico sarebbe da porre, secondo l'ipotesi di Curzi, "in relazione con la cerimonia della consacrazione, durante la quale le pareti venivano segnate con dodici croci oggetto di una liturgia processionale". Il rilievo in genere attribuito alle croci gemmate, nel caso di San Bevignate, parrebbe ulteriormente enfatizzato dal loro inserimento entro dischi sorretti dagli Apostoli, "secondo un uso attestato in particolare in Francia, dove oltre al notissimo precedente della Sainte-Chapelle di Parigi rimangono esempi in alcuni edifici di proprietà degli ordini militari". (G. Curzi)
(Sonia Merli)