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Decorazione pittorica. Il Trittico Marzolini o Trittico di Perugia

Della dotazione mobile di San Bevignate doveva verosimilmente far parte anche il Trittico Marzolini - così detto dal nome del prelato Nazareno Marzolini (1844-1917), che ne fu per qualche tempo possessore - considerato dalla critica come "uno dei più affascinanti e più misteriosi dipinti, non solo in ambito umbro, ma nell'intero Duecento italiano" (P. Scarpellini).

Il grande tabernacolo a sportelli, oggi conservato nella sala I della Galleria Nazionale dell'Umbria dopo una lunga permanenza presso il monastero clariano di Sant'Agnese di Perugia, fu esposto per la prima volta in occasione della Mostra dell'antica arte umbra tenutasi a Perugia nel 1907. E proprio in quella occasione ne furono messe per la prima volta in luce "le rarità iconografiche e le strette connessioni con l'ecumene bizantina" (G. Cristofani), ponendo così le premesse per una adeguata collocazione dell'opera nella trama di un itinerario critico.

Per oltre mezzo secolo il Trittico, tuttavia, è rimasto in una sorta di limbo, considerato alla stregua di un fenomeno marginale di cui esaltare il fulgore dei colori e il buono stato di conservazione piuttosto che un capolavoro caratterizzato da uno stile intenso e vibrante, oltre che da una rigorosa partizione a listelli rossi, impreziositi da eleganti iscrizioni latine in argento meccato, entro cui le singole scene che contornano la Vergine con il Bambino in trono si susseguono dall'alto verso il basso in un efficace quanto drammatico continuum narrativo.

Sull'anta sinistra, infatti, il racconto si sofferma sugli eventi anteriori alla vita pubblica di Gesù e prende avvio con la scena della Visitazione per concludersi con la Tentazione di Cristo, mentre sull'anta destra i restanti otto soggetti, volti a illustrare la Passione e Resurrezione di Cristo, comprendono tra gli altri il Bacio di Giuda, il Compianto di Cristo, nel quale l'anonimo maestro umbro "sembra attingere all'intero repertorio dei gesti della disperazione" (C. Frugoni), e la Discesa dello Spirito Santo.

Secondo la suggestiva ipotesi di Pietro Scarpellini, recentemente ribadita anche da Gaetano Curzi, il tabernacolo proverrebbe proprio da San Bevignate e sarebbe il frutto di una commissione templare, da collocare presumibilmente entro i primi anni ottanta del Duecento, quando la domus perugina, retta dal francese Guglielmo Charnier, già ostiario di Niccolò III, stava acquistando una crescente importanza quale sede amministrativa del notevole patrimonio immobiliare dell'Ordine nell'ampia zona alla destra del Tevere.

Il principale elemento di prova sarebbe costituito da un segno distintivo contenuto nella scena della Presentazione al Tempio, situata nello sportello di sinistra, in cui spicca, stampata in sovrimpressione sulla tovaglia dell'altare, una croce patente (con i terminali divaricati) di color rosso, tipica insegna dell'Ordine del Tempio che si ritrova, ad esempio, sempre a San Bevignate nell'affresco della controfacciata entro la fascia superiore del gonfanon baussant retto da uno dei cavalieri impegnati nello scontro con i saraceni.

La presenza della croce rossa nell'ambito delle storie relative alla vita di Cristo rappresentate nel Trittico parrebbe dunque alludere all'antico Tempio di Salomone in Gerusalemme, in corrispondenza del quale la fraternitas guidata da Hugues de Payens si stabilì intorno al 1119 per volere di Baldovino II, che decise di mettere a disposizione un'ala della moschea di Al-Aqsa, da lui fatta precedentemente convertire in palazzo reale. E tale fu la forza e la suggestione della "coincidenza" che in occasione del concilio di Troyes (1129) i monaci-cavalieri del primo ordine religioso-cavalleresco ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa decisero di mantenerne memoria nel nome, associato da quel momento in modo esplicito e definitivo al Tempio di Salomone, come risulta dalle molteplici varianti attestate nelle fonti: Pauperes commilitones Christi Templique Salomonis, militia Templi Salomonis, milites Templi.
(Sonia Merli)

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