Il termine latino fullonica indica l'officina artigianale o l'impianto industriale in cui venivano svolte le diverse fasi della lavorazione dei tessuti. Qui veniva eseguito sia il lavaggio e la smacchiatura degli abiti già usati, come avviene nelle moderne lavanderie, sia la preparazione e il trattamento dei tessuti nuovi.
Nelle officine in cui si effettuava il trattamento della lana le fasi di lavorazione, ben documentate in alcune pitture parietali pompeiane, come quelle relative alla fullonica di L. Veranius Hypsaeus, comprendevano la follatura, il candeggio e la garzatura o cardatura.
Nel primo procedimento (follatura) i tessuti di lana venivano immersi in ampie vasche contenenti sostanze alcaline con proprietà detergenti e sgrassanti, tra le quali la soda, la creta fullonica e soprattutto l'urina fermentata, sia umana che animale. Il lavaggio proseguiva poi con il pestaggio dei tessuti da parte dei fullones in apposite vaschette dotate spesso di bacinelle o catini fittili. Attraverso queste azioni le piccole intercapedini presenti nei punti di intersezione tra i fili di trama e quelli di ordito si chiudevano, rendendo il tessuto compatto e a volte impermeabile.
Successivamente, per favorire il processo di candeggio, le stoffe venivano stese su apposite gabbie semisferiche costituite da bacchette di vimini tenute incurvate da cerchi orizzontali, sotto le quali veniva collocato un recipiente contenente zolfo acceso, i cui vapori producevano un effetto sbiancante sulle stoffe stesse.
Al termine di queste operazioni i tessuti venivano spazzolati energicamente dall'alto in basso (cardatura o garzatura), con una sorta di cardo costituito da una spazzola fatta di spine vegetali (dipsacus), o con pelle di porcospino. Il processo lavorativo si concludeva con la stiratura, che avveniva con un particolare congegno costituito da una pressa (torcular) in legno azionata dalla rotazione di due grosse viti verticali a filettatura destrorsa e sinistrorsa.
Un'altra pratica realizzata all'interno della fullonica doveva essere quella legata alla tintura delle vesti con sostanze coloranti organiche, sia di origine vegetale che animale; la colorazione veniva spesso svolta in officine specializzate (officinae tinctoriae), dove i tessuti erano fatti bollire in apposite caldaie di piombo insieme alle sostanze coloranti
(Francesco Giorgi)